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Intervista a Stefano Surace


"L'amnistia è in Italia un preciso diritto
dei cittadini detenuti, non una concessione"

La legge, quando prevede una condanna alla reclusione, stabilisce semplicemente che il condannato debba essere separato per un certo tempo dalla società ; in modo da preservare quest'ultima dalla sua attività illegale, o addirittura criminosa, e da offrire al condannato condizioni ambientali che lo aiutino a reinserirsi poi nella società come elemento valido e non più negativo

Nella realtà invece, quando un condannato entra in carcere, vi trova condizioni ben più pesanti, talora atroci

Diventa dunque suo diritto, per un principio inderogabile di equità giuridica, la riduzione della durata di una pena che, come viene applicata, è in realtà molto più pesante di quella prevista dalle leggi

E il solo modo attuabile per ridurla (in attesa che lo Stato rientri nella legalità modificando le condizioni ambientali nelle carceri, non realizzabili in tempi brevi) è l'amnistia, che diventa dunque non una concessione benevola ma un atto dovuto, tendente a rimediare in qualche modo al fatto che in realtà si è sottoposto (del tutto illecitamente) il condannato a una pena molto più pesante di quella prevista dal legislatore

Se una persona commette un reato deve pagarlo, ma non ben più pesantemente di quanto la legge prevede

Ha ragione il Papa quando afferma che certe reclusioni sono un rimedio peggiore del male, anche per la società.

 

NAPOLI (Italia 2) - Amnistia ? Forse sì. Certo, sì. Beh, veramente no... Però indulto sì... Anzi no. Oppure... mah.

Un'autentica girandola di posizioni dei diversi personaggi e settori politici e giudiziari del nostro paese ha avuto il risultato di stuzzicare il can che dorme, rendendo ancor più incandescente la situazione nelle carceri italiane.

E il Papa si schiera dalla parte dei carcerati, invocando clemenza.

Siamo andati allora a "disturbare" un'altra volta Stefano Surace, profittando ancora del fatto che il celebre intellettuale italo-francese si trova per qualche tempo a Napoli (abitualmente vive da quasi trent'anni a Parigi, al Quartiere Latino) per porgli qualche domanda anche su questo argomento, viste le precise risposte che ci aveva dato qualche giorno fa su un altro bel problema : quello delle migliaia di italiani condannati in Italia in contumacia" ma che vivono all'estero, e che gli altri paesi si rifiutano di estradare in Italia poichè non prendono nella minima considerazione le condanne contumaciali italiane giudicandole illegali, anzi inesistenti.

Ci ricordavamo in effetti che Surace a suo tempo, quando viveva e operava ancora in Italia (negli anni 70) ebbe ad effettuare, come giornalista, un'inchiesta strepitosa sulle carceri italiane, nel corso della quale trovò modo di entrare ben 18 volte in nove galere grandi e piccole (San Vittore a Milano, Poggioreale a Napoli, e Monza, Firenze, Arezzo, Legnano, Voghera, Cicciano, Desio) condividendo la vita dei detenuti, ogni volta per qualche settimana.

Ciò in un'epoca in cui, per un giornalista, entrare in un istituto penitenziario italiano anche solo per una mezz'oretta, non diciamo per farci un'inchiesta ma giusto per darvi un'occhiata e farci un articolo, era pura utopia.

Le carceri erano un mondo totalmente sottratto al controllo del pubblico attraverso la stampa, e dove dunque tutto era possibile. Fu uno di quegli exploits di Surace che han fatto la sua leggenda, anche se lui ne parla come di cose del tutto normali.

La "rivolta bianca" a San Vittore

Potè in tal modo svolgere non solo un'inchiesta "dal vivo" sulle carceri italiane, ma un'azione a fondo tendente fra l'altro a rendervi più civili le condizioni di vita.

Creò ufficialmente l'AIDED ("Associazione italiana cittadini detenuti, ex detenuti e loro familiari ") che "Corriere della Sera", "La Nazione" e "Giorni-Vie Nuove" definirono "il primo sindacato per i detenuti".

Per cominciare, scoprì e denunciò che le forniture alimentari forniti dal ministero erano di buona qualità ma, una volta giunte nelle carceri, troppe volte "prendevano altre vie" e ai detenuti venivano ammannite derrate praticamente immangiabili.

Lo stesso avveniva per i medicinali. E qualche direttore e magistrato finì sotto inchiesta giudiziaria.

Era l'epoca in cui l'esasperazione dei detenuti sfociava spesso in rivolte. Le prese in ostaggio di guardiani, coltello alla gola, non erano rare.

Surace riuscì ad evitarne parecchie, convincendo i detenuti a preferire proteste collettive ma rigorosamente non violente, che si rivelarono ben più efficaci.

Famosa la "rivolta bianca" a San Vittore in cui adottò quello che fu definito lo "sciopero della fame a singhiozzo alternato" : 1200 detenuti rifiutavano il cibo alternativamente (una settimana seicento, la settimana successiva gli altri seicento, poi ancora i primi seicento e così indefinitamente, fino a che le autorità non poterono che crollare, e le legittime richieste di Surace per i detenuti, definite all'inizio "indifendibili", furono accettate integralmente).

Giulia Borgese sul "Corriere della Sera" scrisse in terza pagina : "La storia di Surace che fonda la prima associazione per i detenuti, promuove scioperi della fame e denuncia i direttori, appartiene agli annali".

"Giorni-Vie Nuove" ne parlò come di un "inviato speciale nel continente carceri".
Perfino giornali molto meno "impegnati" se ne occupavano.

"Grand Hotel" per esempio scriveva : "Surace si era fatto rinchiudere volontariamente in carcere per farvi un'inchiesta a fondo".

Sulla sua scia Giuliana Cabrini - giovane e "charmante" insegnante torinese - fondò, col suo incoraggiamento, la "Lega non violenta per i detenuti".

Il primo risultato di questa azione di Surace fu che le condizioni di vita cambiarono rapidamente e radicalmente nelle carceri della Penisola.

Potè così evitare diverse rivolte violente e si attirò l'accusa di aver trasformato le galere italiane in "grands hotels" con acqua corrente, servizi igienici separati e televisione in ogni "camera".

Il risultato successivo fu una riforma radicale ed avanzata del settore penitenziario in Italia.

Condanne "inesistenti"

Molti autorevoli magistrati non nascondevano la propria ammirazione per l'attività di "questo intellettuale davvero speciale".

Altri loro colleghi invece sembravano non sognare che di farlo tacere e metterlo in galera per il resto dei suoi giorni; tanto più che "dava fastidio", colle sue inchieste, anche su tanti altri argomenti d'interesse pubblico.

Gli furono lanciati degli ordini di cattura con accuse di pretesi reati a messo stampa, che Surace schivò di misura spostandosi in Francia.

Gli si lanciò allora, approfittando della sua assenza, una valanga di condanne "contumaciali", sempre per pretesi reati a mezzo stampa, per un totale di... diciotto anni di galera (neanche per un assassinio efferato).

Condanne che però furono considerate "inesistenti" dalla magistratura francese e Surace fu coperto di onori perfino del presidente della repubblica Jacques Chirac e poi anche in Spagna, in Inghilterra e anche in Giappone.

Vari anni dopo la magistratura italiana trovò modo anch'essa di spazzar via quelle "condanne".

Intanto però gran parte dei miglioramenti che Surace aveva contribuito a far adottare per le carceri erano stati eliminati dopo qualche tempo, lui assente dall'Italia, adducendo dapprima l' "emergenza terrorismo" e poi l' "emergenza mafia".

Nessuna sorpresa se oggi ci si ritrova con l'attuale, drammatica situazione nelle carceri.

Ma veniamo alle domande che abbiamo posto a Surace.

 

Italia 2 - Che ne pensi di questa storia dell'amnistia annunciata e poi rimangiata? Secondo te sarebbe bene concederla o no ?

Stefano Surace - Concederla non è il termine esatto. Si tratta in realtà di un provvedimento semplicemente dovuto, e non tanto per ragioni di opportunità contingente (carceri che scoppiano, ecc.) oppure di semplice clemenza, ma per un principio inderogabile di equità giuridica.

Nelle condizioni attuali in cui versano le carceri italiane l'amnistia non è una concessione ma un preciso diritto dei cittadini che vi si trovano detenuti.

Italia 2 - Hai proprio detto "un preciso diritto" ?

Surace - Certo. In effetti la legge quando prevede una condanna alla reclusione, sta-
bilisce semplicemente che il condannato debba essere separato per un certo tempo dalla società, in modo da preservare questa dalla sua attività illegale, o addirittura criminosa, e da offrire al condannato condizioni ambientali che lo aiutino a reinserirsi poi nella società come elemento valido e non più negativo.

Nella realtà tuttavia, quando un condannato entra in un carcere, vi trova condizioni ben diverse: non è semplicemente separato dalla società, ma è immesso in situazioni infinitamente più pesanti di quelle previste dalla legge.

E invece di condizioni che lo aiutino a reinserirsi nella società, ne trova abbondantemente di idonee a renderlo ancor più dannoso per questa, quando sarà rimesso in libertà.

Si viene a trovare in effetti in un ambiente in cui soprusi e sopraffazioni di ogni genere sono all'ordine del giorno, da parte di altri detenuti e talora anche di guardiani, dove di tanto in tanto qualcuno viene "misteriosamente" ucciso, oppure si suicida (quando non viene "suicidato").

C'è stato un periodo in cui si registrava addirittura un omicidio al giorno, in media, nelle carceri italiane.

Queste carcerazioni realizzano dunque ­ del tutto illecitamente, è bene precisarlo - non la semplice reclusione prevista dalla legge, ma una vera e propria situazione di tortura, talora mortale.

Che permette anche di ottenere accuse contro innocenti e coprire i colpevoli. Molti in effetti, distrutti o allettati da promesse di alleviare anche di poco la loro condizione, sono pronti a firmare qualsiasi cosa o il suo contrario.

Senza contare le torture fisiche che vanno dai pestaggi di vario tipo fino ai cosiddetti letti di contenzione, con annessi e connessi.

A ciò è da aggiungere che migliaia di cittadini si trovano gettati in carcere da anni, senza giudizi pubblici e con accuse fasulle o gonfiate.

Le situazioni di costoro sono ufficialmente definite "detenzioni preventive in attesa di giudizio" ma, poichè durano anni, si tratta in realtà di gravi pene comminate ed eseguite senza pubblici giudizi.

Dopo anni, nel cinquanta per cento dei casi, secondo le stesse statistiche ufficiali, i tribunali stabiliscono che l'imputato non avrebbe mai dovuto essere incarcerato, ma nel frattempo costui è stato distrutto.

Cioè, in concreto, in Italia non esistono attualmente garanzie giuridiche, il che già esclude di per sè il nostro Paese dal novero delle nazioni democratiche.

Stando così le cose, una persona che entra in carcere si trova a subire una pena ben più pesante di quella della semplice reclusione, prevista dalle leggi.

Si impone dunque come criterio inderogabile di equità l'esigenza quanto meno di ridurre la durata di una pena che è in realtà molto più pesante di quella prevista.

Pene eseguite contro legge

Italia 2 - Allora i giudici, per attenuare un pò le cose, dovrebbero dare pene più brevi ?

Surace - Una frase che circola comunemente nelle carceri - e non tanto fra i detenuti, quanto proprio fra il personale penitenziario - è questa : "Un giudice, prima di cominciare la sua carriera, dovrebbe farsi sei mesi in carcere, così saprebbe realmente dove manderà quelli che condannerà. E ci penserebbe su due volte prima di dare certe pene"

Resta tuttavia che un giudice, anche nell'ipotesi che riesca a rendersi conto di tutto ciò, nel dare certe pene non può certo andare al di sotto delle durate minime previste dalle leggi.

La soluzione ideale sarebbe quindi che le carceri acquistino anche nella realtà le caratteristiche previste dalla legge cui ho accennato poco fa.

Siccome ciò non sembra possibile a breve scadenza (occorrerebbero strutture ben più vaste e funzionali e personale ben più numeroso e qualificato) si dovrebbero abbreviare decisamente nei codici e nelle leggi la durata delle pene, visto appunto che in realtà non si condanna alla semplice separazione dalla società (con possibilità di rieducazione) ma a molto, molto peggio.

Ma neppure questa soluzione sembra realizzabile in tempi brevi, per cui non ne resta che un'altra: accorciare la durata delle pene appunto con l'amnistia.

Italia 2 - Certi ambienti riterrebbero più consigliabile piuttosto un indulto

Surace - Dico bene amnistia (che fra l'altro spazza via definitivamente la pena) e non indulto, che solo la sospende.

Poichè quando a un detenuto si accorcia la durata della detenzione con l'amnistia, costui in realtà ha già pagato ampiamente la sua pena, in genere molto più che se l'avesse scontata interamente, ma nelle condizioni normali previste dalla legge.

L'amnistia diventa dunque non una concessione benevola ma un atto dovuto tendente a rimediare in qualche modo al fatto che in realtà si è sottoposto - del tutto illecitamente - il condannato a una pena molto più pesante di quella prevista dal legislatore e dalla Costituzione.

Se uno commette un reato deve pagarlo, ma non ben più pesantemente di quanto la legge prevede.

Italia 2 - I fautori dell'indulto affermano che esso scoraggerebbe il detenuto liberato dal commettere altri reati, visto che, se li commette, dovrebbe tornare a pagare anche quelli su cui ha avuto il beneficio.

Surace - Non si può far pagare due volte un reato che in realtà è stato già ampiamente pagato. Se commetterà un nuovo reato, dovrà pagarlo, ma solo questo.

Italia 2 - Ma il fatto di liberare prima del tempo previsto dei delinquenti non diventa un pericolo per la società ?

Surace - Paradossalmente, molto meno che se li si libera alla fine delle pene previste.

Una persona che abbia commesso un reato e si veda condannato ad una pena prevista dalla legge, da purgare nelle condizioni anch'esse da questa previste, è più facile che la accetti, essendo portato a pensare "ho sbagliato e dunque pago".

Quando sarà liberato, avrà pagato il suo debito verso la società, e cercherà in genere di evitare di cadere nella stessa situazione.

Ma se invece, una volta in carcere, si rende conto che la sua pena è in realtà molto più pesante di quella prevista dalla legge, accumula una tale rabbia contro la società che, allorchè uscirà, sarà un elemento molto più pericoloso di quando vi era entrato.

E così il carcere diventa non certo "redentore" ma addirittura fortemente criminogeno.

E' dunque molto meno pericoloso per la società che si abbrevi la durata della pena a un detenuto - come, ripeto, preciso diritto di costui date le circostanze - piuttosto che fargliela scontare per intero.

Più si prolunga la pena in quelle condizioni, più pericoloso sarà l'individuo una volta rimesso in libertà.

Non ha torto il Papa quando afferma che certe detenzioni sono un rimedio peggiore del male per la società, anche se ne ha chiarito solo le ragioni d'ispirazione religiosa e morale e non quelle (e non poteva, dato il suo ruolo) specificamente giuridiche.

"Rimpiazzamenti" inefficaci

È proprio perchè da anni non si sono date amnistie che le condizioni dell'ordine pubblico sono al punto in cui sono.

Poichè per alleggerire la situazione esplosiva nelle carceri, non avendosi voluto usare lo strumento equilibratore dell'amnistia, i giudici non hanno trovato altro modo che rimpiazzarlo largheggiando in "pene alternative" come gli "arresti domiciliari" (il cui rispetto è molto difficile da controllare, per cui non si realizza in realtà la difesa della società dalle attività del condannato) o le "licenze premio" (che danno fra l'altro la possibilità a un condannato a lunghe pene di "evadere" senza bisogno di segare sbarre o scavare tunnel, semplicemente non tornando in carcere).

Italia 2 - Ma si dice che ogni volta che si è emessa un'amnistia, dopo alcuni mesi molti dei liberati si sono ritrovati di nuovo in carcere

Surace. Ma ciò semplicemente perchè alcuni hanno nel frattempo subito altre condanne per fatti commessi prima della loro precedente reclusione. Altri invece perchè, una volta liberati hanno commesso nuovi reati.

Per questi ultimi ciò non può non ascriversi, almeno in parte, al fatto che quando erano in carcere non hanno trovato condizioni che li aiutassero a reinserirsi, ma esattamente il contrario.

Ma in ogni caso il fatto di tornare nel carcere per pagare questi altri reati non toglie il loro diritto, dopo un certo tempo, a una nuova amnistia, per quel che ho detto prima.

Italia 2 - Grazie, Surace, per le tue risposte molto precise. Hai espresso un concetto di equità giuridica e di diritto per i detenuti di cui, ci sembra, nessuno parlava, e a cui molti forse neppure avevano pensato.

Surace - Come saprai, è una mia vecchia abitudine dire delle cose proprio quando nessuno le dice. Se già le dicono bene gli altri, che bisogno c'è che le dica anch'io ?

     

   (Agenzia giornalistica quotidiana "Italia 2")

     

 


e-mail:   suracenews@free.fr

 

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