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La morte di Bettino Craxi
ha messo in luce alcune gravi aberrazioni del sistema giuridico
italiano (condannate costantemente già da tempi dalla
Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo) che hanno
permesso e permettono abusi in serie. Calpestati sistematicamente
principi fondamentali del diritto - Una dichiarazione illuminante
del Procuratore della Repubblica di Milano, Gerardo D'Ambrosio MILANO (Italia 2) - A seguito della morte di Bettino Craxi, il "pool" milanese detto di "mani pulite" è stato letteralmente sommerso da accuse per non aver permesso a Craxi di rientrare in Italia da libero per consentirgli di curarsi adeguatamente in una clinica milanese che dava ogni garanzia operatoria e post-operatoria, invece che in una struttura tunisina assai meno adeguata. Ciò avrebbe permesso a Craxi di essere curato seriamente, ed oggi sarebbe probabilmente ancora in vita. Per difendersi da queste critiche, il Procuratore di Milano Gerardo D'Ambrosio ha dichiarato a "Repubblica" che era possibile far rientrare Craxi in Italia da libero, poiché c'erano ormai a suo carico condanne definitive. Ebbene, con questa dichiarazione, il D'Ambrosio non ha fatto che dare - certo involontariamente - la misura di quanto aberrante sia l'attuale sistema giuridico italiano. In qualunque altro paese civile infatti una condanna non può mai diventare definitiva se emessa in un processo in cui l'accusato, per una ragione o l'altra, non è stato presente. Anche nel caso che, come Craxi, vi si sta sottratto volontariamente "con la fuga", come suol dirsi. Nessuno in effetti è tenuto ad andare volontariamente contro se stesso presentandosi al carnefice, o comunque ad un tribunale che potrebbe attribuirgli una pesante condanna. Per esempio in Francia (la cui magistratura è notoriamente fra le più rispettate del mondo) se un tribunale condanna qualcuno non presente al processo (cioè, come suol dirsi, "contumace" o "latitante") la condanna non può diventare definitiva. Se in seguito il condannato si presenta volontariamente, oppure è catturato, il processo viene rifatto in sua presenza. Un processo è infatti costituito da tre elementi indispensabili: l'accusatore, l'accusato e il giudice. Se ne manca uno - per esempio l'accusato - non può considerarsi un vero processo. Si tratta di un principio fondamentale, inderogabile del diritto, mirante ad evitare che si possa condannare qualcuno senza che si difenda. Anche in Italia "culla del diritto"(ma divenutane la tomba) vigeva naturalmente questo principio fondamentale. Finchè prima della seconda guerra mondiale, negli anni 30, il regime di allora, per mettere facilmente i suoi oppositori nell'impossibilità di nuocere, trovò comodo sostituirlo con il criterio antigiuridico che una condanna "contumaciale" poteva diventare definitiva ed esecutiva. Questo "criterio" mostrò largamente la sua efficacia con accusati che si chiamavano, per esempio, Pietro Nenni, Giuseppe Saragat, Sandro Pertini, Luigi Sturzo, Giorgio Amendola. Grazie ad esso, alcuni di costoro si trovarono in galera senza essersi potuti difendere, in seguito a condanne che si facevano risultare "definitive ed esecutive" senza che al processo si fossero mai visti gli accusati; ed altri, per non subire la stessa sorte, dovettero riparare all'estero, Francia e Stati Uniti soprattutto. Finita la guerra e caduto il regime di allora, molte cose cambiarono in Italia, ed anche si ribaltarono. Saragat e Pertini, i condannato rifugiatisi in Francia, divennero perfino Presidenti della repubblica italiana. Ma, stranamente, quel criterio antigiuridico che era stato loro applicato non fu eliminato dal nuovo regime repubblicano... Ed è così che lo si è potuto applicare ora anche a Bettino Craxi ... fino alla sua morte. Il più strano è che nessun media ha rilevato quanto elemento di importanza capitale. Eppure, a causa di questo criterio antigiuridico, l'Italia ha già subito innumerevoli condanne dalla Corte europea per i diritti dell'uomo di Strasburgo che le ha ingiunto, come in suo potere, di rientrare nella legalità rispettando quel principio fondamentale. Ma l'Italia non ha ancora ottemperato, restando così in piena illegalità. Identico sistema era stato a suo tempo usato contro un giornalista e scrittore le cui famose inchieste e campagne di stampa negli anni 60 e 70 rendevano particolarmente "scomodo" per certi ambienti e personaggi politici ed economici italiani molto "in alto, dalle attività non precisamente confessabili. Stiamo parlando di Stefano Surace. Non riuscendo a farlo condannare normalmente, poiché le sue inchieste erano ben documentate, gli si lanciarono contro degli ordini di cattura per pretesti reati a mezzo stampa, sicché fu costretto a riparare all'estero (come farà appunto Craxi). Dopodiché gli si lanciò, in sua assenza, una vera raffica di condanne per pretesi reati a mezzo stampa, per un assurdo totale di ... diciotto anni di galera (neanche per un assassinio efferato); che, come per Craxi, furono fatte diventare subito definitive ed esecutive grazie a quel criterio antigiuridico. Ma per Surace le cose andarono un po' diversamente che per Craxi. La magistratura francese (ripetiamo, fra le più stimate del mondo) ha considerato "inesistenti giuridicamente" tutte (diciamo tutte) quelle condanne attribuitegli in Italia, constatando che erano state emesse in violazione di principi fondamentali del diritto; fra cui quello, appunto, che una condanna contumaciale non può essere dichiarata definitiva. Per di più il Presidente della repubblica francese, Jacques Chirac, decorò Surace della medaglia d'oro, sulla quale è inciso "Parigi a Stefano Surace"... Lezione esemplare per quei magistrati italiani che pretendevano di fargli fare diciotto anni di galera! Surace è stato letteralmente coperto di onori anche in Spagna, in Gran Bretagna e perfino in Giappone. Lo stesso governo italiano, rendendosi conto di quanto l'"affaire Surace" danneggiasse anche all'estero l'immagine della Penisola - e non sapendo cos'altro fare poiché il giornalista-scrittore rifiutava ogni ipotesi di grazia che non comportasse una esplicita sconfessione ufficiale di quelle condanne - rinunciò a qualsiasi tentativo di estradizione (d'altronde senza speranza) vietando agli organi competenti qualsiasi procedura in tal senso nei suoi riguardi. Da aggiungere che, allorché Surace dovette espatriare in Francia, certi personaggi dell'Ordine dei giornalisti, invece di mobilitarsi in sua difesa come loro dovere, tentarono di pugnalarlo alle spalle, radiandolo. Ma in seguito la Corte di Appello di Napoli e la Corte di Cassazione hanno dichiarato illegittima questa radiazione e l'Ordine ha dovuto reiscriverlo. Ed ora i legali del Surace hanno citato l'Ordine per 19 miliardi di lire, a titolo di risarcimento dei danni materiali e morali cagionati da quella radiazione indebita. Ma questo contro Surace non era stato che l'ultimo episodio di una lunga serie di autentici "safari" contro personaggi scomodi. Per esempio quello contro un altro grande giornalista, Gaetano Baldacci. Fondatore de "Il Giorno" (quotidiano che in qualche mese di vita, con lui direttore, aveva quasi superato il "Corriere della Sera") in seguito aveva lasciato "Il Giorno" fondando il celebre settimanale "ABC" (di cui era direttore ed editore) concentrandovi quasi tutti i giornalisti italiani "troppo vivaci". Ma non si tardò a lanciargli un ordine di cattura con un'accusa fasulla, tanto che dovette rifugiarsi in Libano e poi in Canada. Parecchi anni dopo si riconobbe che l'accusa era fasulla, ma intanto era stato distrutto: tornato in Italia, dopo pochi mesi morì di crepacuore. Mino Pecorelli, giornalista molto deprecato in certi ambienti anche per la straordinaria esattezza delle sue notizie, commentò ad un certo punto sul suo settimanale "OP" ("Osservatorio Politico"): "Una giustizia che realizzi simili exploits perde ogni residua credibilità non solo all'interno del Paese, ma anche a livello internazionale. Non si tratta difatti di semplici errori come possono sempre capitarne, ma di una serie lunghissima di fatti aberranti". Ebbene, pochi giorni dopo aver scritto queste righe, Pecorelli fu ucciso da un killer. Si cercò di addossare la colpa del delitto ad Andreotti, chiudendo sistematicamente gli occhi su altre piste, indicate proprio da Stefano Surace in alcuni suoi libri e interviste alla stampa e alla televisione. Piste che conducevano diritto ad ambienti vicini a certi magistrati di Monza, che Pecorelli aveva additato alla pubblica attenzione per certo loro operato a favore di petrolieri evasori e di loro complici "ad alto livello", nel quadro del famoso scandalo dei petroli. Dopo anni, le accuse contro Andreotti sono cadute clamorosamente, ma - poiché le altre piste erano state ignorate con cura - i responsabili di quel delitto restano tuttora "ignoti"... Intanto un gruppo di intellettuali (l'italiano Federico Navarro, il francese Daniel Mercier e l'italo-francese Angelo Zambon) hanno promosso una petizione indirizzata alle autorità politiche, in cui si sottolineano fra l'altro "i casi gravissimi che sono stati resi possibili dal fatto che in Italia è ancora in vigore un tipo di processo penale contumaciale che viola gravemente il diritto, consentendo fra l'altro di dichiarare definitive ed esecutive condanne emesse in assenza dell'accusato; come costantemente ribadito anche dalla Corte europea pei diritti dell'uomo, che per questa ragione ha condannato ormai innumerevoli volte l'Italia". Affare da seguire... |
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