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   Scandalo a Palazzo di giustizia

I sette exploits del giudice Cataldi

L'Ordine dei giornalisti aveva radiato illecitamente dall'albo professionale un asso del giornalismo, il celebre intellettuale, scrittore e gran maestro di arti marziali italo-francese Stefano Surace; le cui battaglie civili (inchieste, polemiche e campagne di stampa) sono da quasi mezzo secolo uno straordinario esempio del giornalismo migliore, ed hanno stimolato decisive riforme in vari settori e paesi.

Ma la magistratura (Corte di Appello di Napoli e Corte di Cassazione) è intervenuta stabilendo, con sentenza definitiva, che la radiazione era stata illecita, sicchè l'Ordine ha dovuto reintegrarlo.

La "storica" decisione della Corte d'Appello - che ha definito con precisione per la prima volta le garanzie a cui l'Ordine è tenuto ad attenersi allorché promuove un procedimento disciplinare, e ha fatto dunque giurisprudenza - fece sensazione nell'ambiente giornalistico italiano ed europeo.

Essa ha avuto difatti una importanza fondamentale per il corretto esercizio della libertà di stampa nel nostro paese.

Grazie ad essa, in effetti, i giornalisti italiani si sentirono liberati dalla spada di Damocle della sospensione e della radiazione dalla professione senza potersi difendere - se "davano fastidio" a certi ambienti - che avevano sentito pendere costantemente sulla loro testa dopo la radiazione di Surace (la Corte ha stabilito fra l'altro che l'Ordine aveva radiato Surace senza neppure dire il perché, quindi in modo del tutto arbitrario).

Quella minaccia aveva paralizzato per anni la stampa italiana su certi argomenti, sicché le attività inconfessabili di certi ambienti, senza più un valido controllo da parte della stampa, poterono dilagare indisturbate fino a straripare in modo intollerabile. Al punto che un gruppo di magistrati dovette ricorrere, per cercare in qualche modo di porvi un argine, alla famosa - anche se discussa per alcuni errori probabilmente difficili da evitare, data la situazione di assoluta emergenza - operazione "mani pulite" contro "Tangentopoli".

Insomma, grazie a quella decisione della Corte d'appello, i giornalisti recuperarono di colpo la possibilità di esercitare degnamente la propria funzione, fondamentale per un corretto funzionamente delle istituzioni democratiche.

In seguito i legali del Surace hanno logicamente citato l'Ordine per il risarcimento dei danni cagionati al giornalista da quella radiazione, che si era protratta per oltre 18 anni.

Il processo per il risarcimento, affidato dapprima al giudice Milena Balsamo (Tribunale di Napoli, 4a sezione civile) venne poi passato a un altro, Giulio Cataldi, che ha emesso una singolare sentenza che, secondo autorevoli giuristi, è caratterizzata da ben 7 gravi violazioni di legge in sole quattro paginette.

In essa, pur confermando l'illiceità del comportamento dell'Ordine, il Cataldi sostiene che Surace non avrebbe il diritto ad essere risarcito poichè l'azione sarebbe prescritta, ed anzi è lui a dover pagare all'Ordine oltre 50 milioni di lire per spese ed onorari!

Nelle singolari intenzioni di quel giudice si dovrebbe quindi premiare il colpevole riconosciuto (l'Ordine) e punire proprio il danneggiato, ribaltando ogni criterio di giustizia e raggiungendo straordinari vertici di iniquità.

Fra l'altro, per cercare di fondare in qualche modo la sua affermazione, il Cataldi giunge nella sentenza ad attribuire ad una norma di legge un testo in realtà inesistente!

Ci si potrebbe chiedere fino a qual punto l'autore di una sentenza con sette gravi errori di diritto in quattro paginette, e che per affermare una tesi assurda si dà ad inventare addirittura il testo di una norma, sia in grado di rivestire una funzione delicata come quella di giudice senza pericolo per i cittadini e per la dignità della giustizia italiana anche a livello internazionale.

Il Surace ha dunque impugnato la sentenza dinanzi alla Corte d'appello di Napoli, assistito da un collegio di giuristi coordinato dall' avv. Vincenzo Vano del foro di Milano, con studio a Milano e Napoli, ed espresso l'intenzione di inviare un esposto al Consiglio superiore della magistratura sull'operato del Cataldi.

Un "affaire" particolarmente inquietante che ha suscitato viva sensazione, specie negli ambienti giudiziari e giornalistici, per le sue pesanti implicazioni sulle garanzie di equità dei processi in Italia, e sulla libertà di stampa.

"Italia 2" ha dunque ritenuto di effettuare un'inchiesta approfondita in merito.

 

NAPOLI (Italia 2) - Questo affare riguarda un asso del giornalismo: il celebre intellettuale, scrittore e gran maestro di arti marziali italo-francese Stefano Surace, le cui battaglie civili (inchieste, polemiche e campagne di stampa) sono da quasi mezzo secolo uno straordinario esempio del migliore giornalismo, oltre ad aver stimolato decisive riforme in vari settori e paesi.

Sua linea professionale costante, l'approfondimento e la denuncia giornalistica di gravi problemi di interesse pubblico, compresi i comportamenti devianti di chi riveste incarichi pubblici, elettivi e no.

Il che è del resto la funzione fondamentale del giornalismo, quella stessa che legittima la libertà di stampa in un paese democratico.

Memorabili le sue campagne su grossi scandali politico-economici, finanziari, immobiliari, sui rackets della droga, del gioco d'azzardo, dell'usura, sul celebre scandalo dei petroli, sugli abusi psichiatrici, sulle carceri, alcune delle quali furono determinanti per riforme in vari settori.

Da ricordare anche la sua funzione di "garante" della stampa erotica italiana negli anni dal 1970 al 1974, attribuitagli per la sua solida reputazione di integrità morale non ancorata tuttavia a concetti arcaici in materia. Funzione assai delicata e anche rischiosa, per la quale aveva poteri legali che neanche i magistrati possedevano. Poté così bloccare per anni, talora con polso di ferro, quei personaggi (certi distributori ed editori) che per sete di guadagno intendevano far superare certi limiti alle loro pubblicazioni benchè vendute nelle edicole alla portata dei minori. Surace pilotò così, con prudenza e saggezza, quell'autentica svolta culturale che fu la graduale liberalizzazione della stampa erotica in Italia.

I "safari"...

Surace insomma faceva parte di quei giornalisti italiani che avevano la capacità e la volontà di informare il pubblico su come realmente andavano certe cose.

E contro i quali fu lanciata, a un certo punto, una serie di "safari al giornalista scomodo"...

Si cominciò con un altro grande giornalista, Gaetano Baldacci, il maestro appunto di Surace. Fondatore e direttore del quotidiano "Il Giorno", in sei mesi lo aveva portato a una tiratura quasi uguale a quella del "Corriere della Sera" che aveva messo quasi un secolo per raggiungerla (coi successivi direttori invece le vendite de "Il Giorno" calarono vertiginosamente).

In seguito Baldacci fondò e diresse il settimanale "ABC", in cui tenne a concentrare buona parte dei giornalisti italiani "troppo vivaci".

Ne fece in breve un settimanale che tutta la stampa europea ci invidiava come una referenza di giornalismo coraggioso e qualificato.

Ebbene, a un certo punto contro Baldacci fu lanciata una incriminazione con ordine di cattura, e per non ritrovarsi in carcere dovette rifugiarsi in Libano e poi in Canada, che non avevano accordi di estradizione con l'Italia.

Dopo qualche anno venne fuori che l'accusa era fasulla, la sua piena innocenza fu riconosciuta, poté tornare in Italia ma, ormai distrutto, dopo pochi mesi decedette.

Anche l'editore che aveva ripreso "ABC" al suo espatrio, Enzo Sabàto, subì analoghe persecuzioni.

Depredato della proprietà del settimanale in circostanze ributtanti e tenuto sempre sotto la minaccia di "fargli fare la fine di Baldacci", morì di crepacuore.

Quanto a Surace, fu subissato addirittura di condanne per ... 18 anni di galera. Una pena da assassinio efferato per accuse di reati a mezzo stampa, singolare ricompensa per le battaglie civili che per tanti anni aveva sostenuto per il suo Paese con rischi non lievi.

Surace conseguiva così il record mondiale assoluto del giornalista più condannato del mondo per accuse di reati a mezzo stampa, e l'Italia quello delle pene attribuite con questo tipo di accusa...

Non si riuscì tuttavia a far fare a Surace la stessa fine di Baldacci e Sabàto.

Espatriato oltralpe, la magistratura francese - notoriamente una delle più reputate del mondo - considerò tutte quelle condanne "giuridicamente inesistenti" in quanto emesse con modalità gravemente in contrasto coi principi fondamentali del diritto.

"Parigi a Stefano Surace"...

Surace poté così stabilirsi a Parigi, al Quartiere Latino e le autorità, gli intellettuali, gli ambienti sportivi francesi, britannici, spagnoli e perfino giapponesi tennero a manifestargli la loro più viva stima e ammirazione.

Sarebbe lungo elencare tutte le onorificenze, gli attestati di stima e simpatia di cui Surace è stato fatto segno in Francia e altrove anche dalle più alte autorità. Ci limiteremo a citare la prestigiosa medaglia della Città di Parigi attribuitagli da Jacques Chirac, attuale presidente della repubblica francese, decorazione molto raramente concessa a stranieri.

Vi è inciso "Parigi a Stefano Surace", cioè che Parigi si onora ufficialmente di averlo come suo ospite privilegiato.

Bel contrasto col grottesco atteggiamento di certe nostre "autorità" che si coprivano di ridicolo nella vana pretesa di fargli fare quei 18 anni di galera...

La TV giapponese (canale "Fuji", il principale in quel paese) diffuse delle emissioni particolarmente elogiative su di lui.

Un film, "Ju Jitsu Butokukai", venne girato in Francia sulle sue attività.

Una serie di organismi di vari paesi (citeremo il World Butokukai Institute, la Federation Française de Ju Jitsu Butokukai e disciplines associées) lo hanno voluto loro presidente. Ed altri (la "British Martial Art Association", la spagnola "Kaizem Ryu") lo hanno accolto come membro d'onore a vita.

Anche in Italia quelle singolari condanne a Surace suscitarono indignazione negli ambienti al corrente di come stavano realmente le cose.

Nei corridoi del Tribunale e della Procura di Milano circolavano fra magistrati visibilmente compiaciuti battute come: "Surace volevano mandarlo a San Vittore, e invece se n'è andato a Saint Tropez ..."

Una giuria di giornalisti, presieduta dal noto critico Mario Tilgher, premiò nell'82 il suo libro "Caro Pertini" come "miglior libro dell'anno".

Giulia Borgese sul "Corriere della Sera" scrisse in terza pagina sulle sue attività di "inviato d'assalto" del settimanale ABC, e sui suoi "scandali nazionali di livello sociale e politico"".

Sempre sul "Corriere della Sera" Glauco Licata lo descrisse""dinamico giornalista dal solidi principi etici" cui era stata attributa "una condanna che neanche ad Al Capone... Ed ora aspetta a Cap d'Antibes che scoppi in Italia... un Wateragate".

Scoppierà, invece, Tangentopoli, di cui in Francia è considerato il precursore.

Il settimanale "Giorni-Vie Nuove" diretto all'epoca da Davide Laiolo, pubblicò un servizio su 10 pagine a firma Guido Cappato (numero del 16 maggio 1977). Dopo aver passato in rassegna una serie di celebri inchieste di Surace commentava :

" Come si potrà notare, Surace appartiene alla categoria degli uomini scomodi ".

I "sicari sfortunati"

Naturalmente c'era da attendersi che l'Ordine dei giornalisti italiano reagisse anch'esso decisamente, come suo dovere istituzionale, contro quei 18 anni di galera lanciati contro un giornalista con accuse di reati a mezzo stampa, trattandosi di un attentato particolarmente grave alla libertà di stampa.

Invece l'Ordine si scagliò stranamente proprio contro Surace, facendolo segno ad una misura di sospensione dalla professione che aveva l'effetto di bloccare istantaneamente la sua attività giornalistica. E poi addirittura lo radiò, senza mai dire di cosa lo accusasse.

Surace potè così vivere all'estero per vari anni solo grazie ai risparmi di due decenni di intenso lavoro. E in seguito poté continuare grazie alla sua competenza ad altissimo livello in certe Arti Marziali, che gli permise di raggiungere in breve una nuova posizione di rilievo, sia pure in un campo apparentemente così diverso dal giornalismo.

Intanto però, a seguito di quella radiazione, i giornalisti italiani si sentirono sotto la minaccia costante di essere "sospesi" e poi radiati dall'Ordine se "davano fastidio" a un certi ambienti politici ed economici dall'operato non precisamente confessabile.

Se era stato così facile radiare Surace, il più agguerrito fra loro, sarebbe stato ancor più facile per gli altri.

Quella di giornalista divenne di colpo, in Italia, la professione meno garantita del mondo.

Le attività inconfessabili di quegli ambienti, senza più un valido controllo da parte della stampa, poterono così dilagare indisturbate fino a straripare in modo intollerabile, tanto che un gruppo di magistrati tentò di opporvisi con la famosa operazione "mani pulite" contro "Tangentopoli"

Basti dire che allorchè due giudici di Treviso avevano incriminato ufficialmente parecchi personaggi molto "in alto", fra cui il comandante in capo della guardia di Finanza e il suo braccio destro, nel quadro di quello che poi divenne il famoso "scandalo dei petroli in Italia", i corrispondenti da quella cità dell'agenzia ANSA e di diversi quotidiani avevano inviato regolarmente, alle loro redazioni centrali, numerosi articoli sull'argomento. Ne avevano inviati per un anno, ma nessuno era stato pubblicato...

L'intervento della magistratura

Ma intanto la magistratura italiana interveniva, come già quella francese, anch'essa nella vicenda Surace.

La Corte d'Appello di Napoli (presieduta da un insigne magistrato, Vincenzo Schiano di Colella Lavina, con relatore Carlo Aponte, consigliere Francesco d'Alessandro; integrata - come prevede la legge in questi casi - da due giornalisti, Lino Zaccaria e Francesco Maria Cervelli) stabilì che la radiazione del Surace era stata illecita e l'annullò d'autorità, evocando fra l'altro "gli obiettivi altamente sociali perseguiti nella sua attività, le sue campagne di stampa, i riconoscimenti ottenuti".

E riscontrando nel provvedimento di radiazione "la mancanza di qualsiasi specificazione dei fatti che si imputavano al Surace".

Surace era stato dunque radiato dall'Ordine senza che neanche si dicesse perchè...

La "storica" decisione della Corte d'Appello fece sensazione nell'ambiente giornalistico italiano ed europeo. .

I giornalisti italiani si sentirono liberati dalla spada di Damocle della sospensione e della radiazione dalla professione senza potersi difendere che avevano sentito pendere costantemente sulla loro testa dopo la radiazione di Surace.

Di colpo, recuperarono la possibilità di esercitare degnamente la propria funzione, fondamentale per un corretto funzionamente delle istituzioni democratiche

L'Associazione napoletana della stampa si congratulò con Surace con lettera ufficiale

Il presidente dell'Ordine all'epoca, Saverio Barbati, non si vide rinnovato l'incarico che ricopriva da anni. Surace l'aveva poco prima esortato, in un'intervista "a darsi alla pastorizia, che ha molto bisogno di braccia".

I membri del Consiglio dell'Ordine che avevano deciso quella radiazione si videro definiti sulla stampa "sicari sfortunati", mentre di Surace si scriveva come di "un grande eroe civile, un "maître à penser", e "à agir", non violento ma micidiale quando si tratta di difendere la verità, la giustizia e i diritti umani".

Si verificarono perfino fenomeni di rigetto come l'iniziativa, in sede politica, di promuovere un referendum per l'abolizione dell'Ordine, visto ormai da molti come una minaccia per la libertà di stampa e dunque per una corretta democrazia.

E in ogni caso nella categoria dei giornalisti sorse una larga esigenza di riforma profonda di questo organismo.

Gli illeciti in serie dell'Ordine

Successivamente si sono avuti per Surace altri interventi della magistratura italiana, stavolta di Milano, che hanno spazzato via tutte le condanne che gli erano state volenterosamente attribuite.

Surace è potuto quindi rientrare felicemente in Italia, anche se la sua principale residenza resta Parigi.

La Corte d'appello avendo dunque annullato la radiazione, questa era da considerarsi come mai esistita.

E siccome la sentenza era immediatamente esecutiva, l'Ordine regionale (della Campania) era tenuto a reintegrare senza ritardo Surace nell'Albo.

Ma l'Ordine regionale cercò non di ottemperare a tale obbligo.

Presentò un ricorso per Cassazione nell'intento evidente di tentare di giustificare il suo comportamento.

Il ricorso tuttavia non toglieva nulla all'illegittimità dell'omissione, la sentenza della Corte d'Appello essendo già esecutiva.

Per di più risultava talmente infondato ictu oculi che perfino l'Ordine nazionale si rifiutò di sottoscriverlo. E la Cassazione lo rigettò in data 8/11/91, l'Ordine regionale vedendosi anche condannato alle spese di giudizio.

Visto che non si era ancora provveduto alla reiscrizione, il legale del Surace, ingiunse all'Ordine, con lettera 16/11/93, di ottemperare alla decisione della Corte d'Appello (confermata per di più nel frattempo dalla Cassazione) reiscrivendo Surace all'Albo professionale entro 15 giorni..

In mancanza, avrebbe provveduto come per legge. La lettera esprimeva anche la volontà di richiedere il risarcimento del danno.

Poichè, malgrado la lettera, l'Ordine continuava a non ottemperare, ne inviò un'altra, datata 24/1/94, in cui ripeteva l'ingiunzione dando un termine stavolta di 10 giorni e specificando che in mancanza avrebbe intrapreso "un'azione giudiziaria in via esecutiva, con nomina di un commissario ad acta" .

A questo punto l'Ordine dovette provvedere, "obtorto collo", a registrare la reintegrazione del Surace a tambur battente, prima della scadenza dei dieci giorni (precisamente dopo 6 giorni, il 30/1/94); e dovette rilasciargli un tesserino professionale attestante che era "iscritto all'Ordine dal 1958" (ininterrottamente, essendo appunto scomparsa la radiazione).

Il danno al Surace si era dunque esteso dal 28/5/75 (data della sospensione) al 30/1/94 (data della reitegrazione) cioè per oltre 18 anni.

Ed era stato cagionato da una serie di atti illeciti commessi dall'Ordine e di atti dovuti invece omessi, sempre illecitamente.

Vediamoli : 

- Prima azione illecita commessa : emissione del provvedimento di sospensione.

- Seconda azione illecita commessa : apertura del procedimento disciplinare che causava già, di per sè, il prolungamento degli effetti della sospensione.

- Terza azione illecita commessa : emissione del provvedimento illecito di radiazione.

- Quarto illecito, stavolta omissivo : Mancato ottemperamento alla decisione esecutiva della Corte d'Appello che annullava la radiazione con conseguente obbligo per l'Ordine di reiscrivere senza ritardo Surace. Omissione di rilevanza anche penale che da sola ha prodotto un prolungamento del danno di ben 7 anni (dal 24/5/86 al 30/1/94).

Ciò che ha causato il danno al Surace è stato dunque un illecito prolungato, reiterato, palesemente permanente che ha messo arbitrariamente Surace nell'impossibilità di continuare la sua attività professionale, benemerita per il suo valore civico e sociale ma scomoda per certi ambienti potenti e senza scrupoli dagli interessi non precisamente confessabili, con i quali l'operato dell'Ordine è apparso, in questa vicenda, in perfetta assonanza.

Stando così le cose, i legali di Surace hanno citato l'Ordine dei giornalisti dinanzi al tribunale di Napoli, perché risponda dei danni morali e materiali cagionati da quella serie di provvedimenti illeciti.

Danni particolarmente rilevanti se si pensa che al momento della sospensione Surace era, secondo ricerche bancarie e previdenziali effettuate da un istituto specializzato neutrale, il giornalista di gran lunga meglio retribuito in Italia, se non d'Europa.

E che il blocco indebito della sua attività giornalistica era durato oltre 18 anni.

La sua successiva attività di maestro di arti marziali era certo particolarmente prestigiosa, ma i provventi economici che gli procurava non erano neanche lontanamente paragonabili a quelli della sua precedente attività giornalistica in Italia.

Il dossier

I legali del Surace hanno anche depositato un dossier in cui fra l'altro sottolineano come "i membri del consiglio dell'Ordine, col loro comportamento nei confronti di Stefano Surace, messo in luce dalla magistratura superiore con sentenza definitiva, hanno compromesso non solo la dignità, ma l'onore della categoria dei giornalisti; coprendo di vergogna se stessi, l'Ordine, e di conseguenza il giornalismo italiano che appariva rappresentato da simili personaggi".

Vi pongono inoltre una serie di inquietanti interrogativi:

Com'è che l'Ordine ha avuto la possibilità di radiare per "indegnità". uno dei giornalisti più degni che il paese abbia mai avuto?

"Ma allora i giornalisti italiani lavorano sotto la minaccia costante di essere "sospesi" e poi essere radiati dall'Ordine senza che neanche si dica il perché?

"Qual è dunque la funzione dell'Ordine dei giornalisti, di tutelare la categoria e i suoi membri, o di imbavagliarli?"

"E' per questo che i giornalisti italiani, anche i più quotati, sono apparsi per vari anni così silenziosi e "disciplinati" su certi argomenti di particolare gravità?"

"Si può, in queste condizioni, affermare che in Italia ci sia ancora libertà di stampa?"

"E' questa una delle cause del profondo deterioramento, cui abbiamo assistito in questi anni, della vita democratica nella Penisola, visto che in assenza di libertà di stampa qualsiasi democrazia non può che degenerare in tempi brevi".

"Oppure la radiazione di Surace è stato solo un episodio circoscritto, di cui si erano resi protagonisti certi personaggi "devianti", nel frattempo in gran parte allontanati dai vertici dell'Ordine dei giornalisti?"

 

Il testo del dossier è stato riportato integralmente in un libro di Walter Minardi edito a Parigi in francese, inglese e italiano dal titolo "Stefano Surace e i sicari sfortunati...".

Si trattava ora, per il Tribunale civile di Napoli, di completare l'azione di ristabilimento della giustizia intrapresa dalla magistratura parigina e in seguito dalla Corte d'Appello di Napoli, dalla Corte di Cassazione e dai magistrati milanesi, attribuendo il giusto risarcimento a questo straordinario giornalista che ha sempre fatto onore al nostro Paese.

Senonchè, le cose presero una piega piuttosto singolare...

Il processo per il risarcimento fu in effetti affidato al giudice Milena Balsamo del tribunale di Napoli, IV sezione civile.

Poco dopo però la Balsamo fu trasferita a un'altra sezione dello stesso Tribunale (l'ottava), e al suo posto fu istallato un altro giudice, certo Giulio Cataldi.

Dopo questa inusuale staffetta, il processo ha assunto aspetti decisamente surreali.

Il Cataldi in effetti ha emesso una sentenza in cui non ha potuto negare che la radiazione del Surace era stata illecita, dato che era stato sancito dalla Corte d'Appello e dalla Cassazione in via definitiva.

Ma vi sostiene che il diritto al risarcimento sarebbe ormai prescritto, poichè la citazione sarebbe stata presentata in ritardo. Cosicchè, anche se l'Ordine è colpevole della radiazione indebita, non si potrebbe procedere nei suoi confronti.

E aggiunge che in realtà è Surace a dover dare dei soldi all'Ordine: oltre una cinquantina di milioni, a titolo di spese e onorari!

Con ciò si premierebbe dunque il colpevole riconosciuto (l'Ordine) e si punirebbe proprio il danneggiato, ribaltando ogni criterio di giustizia e raggiungendo straordinari vertici di iniquità.

È tuttavia risultato, ad un esame di autorevoli giuristi ed alla luce dell'orientamento costante della Suprema Corte, Sezioni Unite, che quella sentenza è basata interamente su 7 gravi errori di diritto, contenuti in quattro paginette... E che addirittura il Cataldi, in mancanza di meglio per puntellare la sua tesi,era giunto ad inventare nella sentenza, per una norma di legge, un testo in realtà inesistente...

Un exploit, quello del Cataldi, che contrasta in modo stridente con l'azione intrapresa da alcuni anni anni da una lunga serie di magistrati degni italiani e francesi, a tutti i livelli compresi i più elevati, per ristabilire la giustizia per Surace e rimediare per quanto possibile al discredito per la nostra magistratura che è derivata internazionalmente dal suo caso emblematico.

Qualcuno si è chiesto fino a qual punto l'autore di una sentenza con ben sette gravi violazioni di legge in qualche paginetta, e che altera addirittura in sentenza il testo di una norma, possa esser lasciato in una funzione delicata come quella di giudice senza pericolo per i cittadini, e per la dignità della giustizia italiana anche a livello internazionale.

Il Surace ci ha dunque impugnato la strana sentenza dinanzi alla Corte d'appello di Napoli assistito da un collegio di giuristi coordinato dall' avv. Vincenzo Vano del foro di Milano, con studio a Milano e Napoli, e un esposto al Consiglio superiore della magistratura.

Intanto ha appena terminato un libro che è la continuazione di "Caro Pertini" dal titolo "Cercate Surace..." di cui alcuni capitoli sono dedicati a questo " affaire ".

Le sette violazioni

Vediamole ora più da vicino, le sette violazioni del Cataldi.

Prima violazione di legge.

Il danno al Surace, esteso per oltre 18 anni, era stato cagionato, come abbiamo visto, da un illecito permanente dell'Ordine, caratterizzato da una serie di atti illeciti commessi e di atti dovuti che invece erano stati omessi illecitamente.

Precisamente :

- Prima azione illecita commessa : emissione del provvedimento di sospensione.

- Seconda azione illecita commessa : apertura del procedimento disciplinare che causava già, di per sè, il prolungamento degli effetti della sospensione.

- Terza azione illecita commessa : emissione del provvedimento illecito di radiazione.

- Quarto illecito, stavolta omissivo : Mancato ottemperamento alla decisione esecutiva della Corte d'Appello che annullava la radiazione con conseguente obbligo per l'Ordine di reiscrivere senza ritardo Surace. Omissione di rilevanza anche penale che da sola ha prodotto un prolungamento del danno di ben 7 anni (dal 24/5/86 al 30/1/94).

Ciò che ha causato il danno al Surace è stato dunque un illecito prolungato, reiterato, palesemente permanente che ha messo arbitrariamente Surace nell'impossibilità di continuare la sua attività professionale, benemerita per il suo valore civico e sociale ma scomoda per certi ambienti dagli interessi non precisamente confessabili.

Ora, per un illecito di tipo permanente la legge prevede che il danneggiato ha diritto a richiedere il risarcimento entro 5 anni dalla cessazione del danno. Al di là, si ha prescrizione.

In questo caso dunque, poichè il danno era cessato il 30/1/94 (data della reiscrizione) c'era tempo fino al 30/1/99 per presentare tale richiesta.

I legali del Surace la presentarono in effetti in data 20/2/98 (largamente dunque nei termini, 10 mesi prima della scadenza).

Ebbene il Cataldi nella sua sentenza, pur ammettendo che la radiazione nei confonti del Surace era stata illecita vi sostiene tuttavia, contro ogni evidenza, che l'illecito dell'Ordine non era stato permanente ma... istantaneo, sia pure con effetti permanenti.

Per cui Surace avrebbe dovuto presentare la sua domanda di risarcimento entro 5 anni non dalla cessazione del danno, ma dalla sentenza 24/5/86 della Corte d'appello; e cioè entro il 24/5/91. Siccome l'aveva invece presentata dopo tale termine (il 20/2/98) c'era prescrizione e non si poteva procedere contro l'Ordine.

Si trattava di un ragionamento del tutto privo di fondamento, poichè l'illecito, come abbiamo visto, era stato macroscopicamente permanente.

Con ciò il Cataldi commetteva la prima violazione di legge.

Seconda violazione di legge

In ogni caso il ragionamento del Cataldi non era valido neppure se l'illecito fosse stato davvero istantaneo.

In effetti, per tale caso la legge stabilisce che la prescrizione va calcolata a partire non dalla data della sentenza della Corte d'appello, come affermava il Cataldi, ma dalla dichiarata definitività della decisione della magistratura (e cioè dalla sentenza 8/11/91 della Cassazione, che l'aveva sancita) come confermato costantemente dalla Cassazione stessa, Sezioni Unite.

Con ciò il Cataldi commetteva una seconda violazione di legge.

Terza violazione di legge

In ogni caso, anche nell'ipotesi che l'illecito fosse stato istantaneo, la prescrizione era stata interrotta dalla lettera 16/11/93 in cui il difensore aveva espresso la volontà di richiedere il risarcimento del danno.

Andava dunque calcolata a partire da tale data, sicchè il termine di 5 anni veniva a cadere il 16/11/98, ben dopo la data della presentazione della domanda (20/2/98) che restava così valida.

Con ciò il Cataldi realizzava una terza violazione di legge.

Quarta violazione di legge

Il Cataldi affermava che, a seguito della sentenza della Corte d'appello, l'Ordine non era tenuto a reiscrivere senza ritardo Surace, poichè detta Corte aveva sì annullato la radiazione, ma non aveva ordinato esplicitamente all'Ordine di reiscriverlo.

Per ottenere dunque la reiscrizione, Surace avrebbe dovuto presentare una domanda specifica, dopodichè l'Ordine aveva la facoltà di decidere se reiscriverlo o meno.

E siccome Surace aveva presentato domanda in tal senso solo con una lettera 16/11/93, l'Ordine non aveva potuto reiscriverlo che poco dopo, in data 30/1/94.

Ma si trattava di un'altra affermazione priva di fondamento.

Poichè la Corte d'appello aveva annullato la radiazione, questa era da considerarsi come mai avvenuta.

E siccome la sentenza era immediatamente esecutiva, l'Ordine regionale, a cui essa era stata regolarmente notificata, era tenuto a provvedere senza ritardo alla pedissequa registrazione della reintegrazione del Surace, senza alcuna facoltà di decidere il contrario.

Doveva eseguire e basta.

Inoltre, la lettera 16/11/93 non era stata affatto una "domanda di reiscrizione" ma un richiamo perentorio a reiscrivere Surace all'Albo professionale entro 15 giorni.

A seguito del quale, e della successiva analoga lettera 24/1/94, l'Ordine dovette provvedere, "obtorto collo" come abbiamo visto, a registrare la reintegrazione del Surace a tambur battente (precisamente, dopo 6 giorni, il 30/1/94).

Con ciò il Cataldi ha commesso una quarta violazione di legge.

Quinta e sesta violazione di legge

Per sostenere che l'Ordine aveva bisogno di una domanda del Surace per poterlo reintegrare, dopodichè aveva la facoltà di decidere se reiscriverlo o no, il Cataldi afferma di rifarsi agli artt. 46 e 55 della legge sull'ordinamento della professione di giornalista (legge 3/2/63 n. 69).

Ma, al solito, del tutto infondatamente poichè questi articoli si riferiscono a casi ben diversi, quelli di giornalisti che siano stati radiati ma la cui radiazione non sia stata poi annullata dalla magistratura.

Per di più, per cercare puntellare la sua tesi, il Cataldi attribuiva a detto art. 55 un testo in realtà inesistente...

Con ciò, il Cataldi commetteva una quinta e una sesta violazione di legge.

Settima violazione di legge

Il Cataldi ha condannato Surace a pagare all'Ordine oltre una cinquantina di milioni a titolo di spese e onorari mentre, anche se ci fosse stata davvero prescrizione, l'equo criterio era di compensare le spese fra le parti.

Commetteva con ciò una settima violazione di legge.

Mica male come record...

Ad maiora !

     

   (Agenzia giornalistica quotidiana "Italia 2")

     

 


e-mail:   suracenews@free.fr

 

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